Un desiderio realizzato

Oggi ho realizzato un desiderio che covavo da un po’.
Non entro nel dettaglio perche’ e’ una cosa particolare.
Diro’ solo che da qualche mese avevo un debito di gratitudine che volevo onorare verso una persona che senza saperlo ha contribuito a farmi stare meglio, per uno strano meccanismo della mente, qualcosa tipo “se oggi sta bene lei, potro’ stare bene anche io”.

Cosi’ dopo aver ringraziato quanti mi sono stati vicini in questi mesi in mille modi (a partire dalle persone meravigliose che ci sono state il 14 e il 21 maggio), sentivo il bisogno di ringraziare anche questa persona e di stabilire infine un contatto visto che sebbene vicini geograficamente, praticamente non ci si conosce.

Ci ho pensato su per un bel po’ e alla fine ho scritto una lettera (si’, quelle che si spediscono) aggiungendo anche un piccolo dono che proviene da quel sito che coltivo come una pianta preziosa e che mi permette di donare agli altri quel po’ che so fare.

E’ effettivamente un dono gratuito, nel senso che regalo qualcosa a qualcuno senza aspettarmi nulla. Arrivare arrivera’ (con seieuroecinquecentesimi di raccomandata 1 ci mancherebbe) ma cosa accadra’ poi non dipende da me, ma mi basta che la mia missiva sia letta e sono felice cosi’.

Curiosamente aver finalmente deciso di farlo, di passare dal proposito di farlo al farlo, mi ha reso felice e mi-fa-sentire-bene!

E’ qualcosa che tempo fa non avrei mai pensato di fare.
Segno che si cambia, che molto in me e nel mio modo di essere va cambiando, che sto trovando piu’ coraggio di vivere in prima persona e tirare fuori la parte migliore di me in ogni contesto.
Ed e’ la riprova che donare fa stare bene piu’ che ricevere doni o farseli :)

Entrare e uscire dall’ospedale dell’Angelo

Ci sono tre modi per entrare all’ospedale dell’Angelo e tre per uscirne.

Se sei fortunato entri dall’ingresso principale: affronti le scale, le scale mobili o l’ascensore, passi per un “ponte” coperto che non sembra un ponte e arrivi a un giardino che sembra il primo piano ma in realta’ e’ il terzo e sotto i tuoi piedi, che cammini, mangi, compri in un negozio, preghi o prenoti una visita, ci sono ambulatori e sale operatorie. Come sei entrato puoi uscirne se tutto va bene.

Se qualcosa e’ andato storto arrivi con un taxi o un’ambulanza al Pronto Soccorso entrando alla destra dell’edificio centrale. Dalla tua prospettiva non te ne accorgi ma stai andando “sottoterra” rispetto al resto della struttura. Da qui puoi uscire come sei venuto o puoi passare in un reparto attraverso una serie labirintica di ascensori e corridoi.

Infine c’e’ il terzo ingresso che e’ per quando le cose sono andate male. Da qui si puo’ solo uscire, in un’auto lunga e bassa. Insomma, e’ la camera mortuaria. Affaccia sul lato sinistro dell’Angelo e la struttura riprende quella del piazzale d’ingresso con una piazza rotonda ove trovano parcheggio le auto. Non invidio proprio le case che si trovano nelle vicinanze. Da questo luogo l’Angelo sembra distante, eppure e’ vicino ed e’ fisicamente collegato da passaggi labirintici che la tua mente cerca d’immaginare quando sai che un tuo caro li ha attraversati (e un giorno chiedero’ a un’amica che lavora all’Angelo che razza di giro fanno, perche’ non dev’essere proprio corto!)

Ecco, fra il primo aprile e il 21 maggio qui li si e’ fatti tutti.
Questo non e’ un post triste, sono pensieri sulle strutture in cui si svolgono momenti forti delle nostre vite. Questo lo volevo scrivere da un po’ ma dovevo aspettare che mi tornasse l’ispirazione di postare.

Ed eccolo per voi visto dall’alto, questo luogo che inganna le percezioni.
In basso a sinistra c’e’ l’ingresso/uscita per quando e’ proprio finita (rima non cercata). In mezzo sulla destra l’ingresso normale e in alto sulla destra l’ingresso al pronto soccorso. Notate la somiglianza dei vari punti di accesso. E’ fatto bene ed e’ un luogo che inganna le percezioni come pochi.


Visualizzazione ingrandita della mappa

Il fuoco

Non importa quanta strada farai, ci saranno sempre micce accese nella tua vita, persone pronte a farti prendere fuoco, pronte ad attaccare, ferire far male e portarti a reagire come non vorresti.

Ne ho incontrata una oggi. Anzi reincontrata, perche’ ci eravamo incendiati piu’ volte e piu’ volte avevamo deciso di ritentare. Oggi ho capito che a volte e’ meglio lasciar perdere che non con tutti ci si potra’ trovare. Siccome sono tutt’altro che perfetto, certi attacchi mi fan reagire come non vorrei e come non mi succedeva da tempo. Quindi la cosa migliore e’ troncare ogni rapporto con chi puo’ far prendere fuoco.

Non e’ una conquista ne’ una vittoria, al contrario e’ una sconfitta del mio modo di essere e di pensare, ma adesso va cosi’. In futuro si vedra’.

E con questo torno a scrivere piu’ spesso nel blog ;)

Valori, scelte e rinunce

Domanda: a che cosa sei disposto a rinunciare per restare coerente con i tuoi valori?
Attento, non rispondere subito.
Non stiamo parlando solo di cose materiali. Faccio questo e ottengo quello, non faccio questo e perdo quell’altro.
No, parliamo anche di cose non tangibili. Soddisfazioni, riconoscimenti, rispetto.

I tuoi valori, cio’ in cui credi, le opinioni che ti sei formato tu studiando, leggendo, vedendo e valutando situazioni ed esperienze altrui, quanto valgono? Valgono la rinuncia a fare una cosa? Forse stai per dire di si’ ma aspetta: valgono anche la rinuncia all’approvazione degli altri su una tua scelta? Valgono gli sguardi divertiti o le risposte improbabili di chi non si limita a dire che non e’ d’accordo con te ma, per giustificare a se stesso la propria posizione, dice che stai sbagliando tu.

Ci sono persone che non sono in grado di allontanarsi dalla massa e attaccano, magari anche alle spalle, chi non si uniforma. Con queste non puoi ragionare, non provarci.
Ci sono persone che ti criticheranno per dare forza alla propria tesi o posizione: non puo’ essere diversa, sei tu in torto.
Altri guarderanno con una lente d’ingrandimento i tuoi valori e scelte invece delle proprie.
Al consenso e all’apprezzamento di questi e di tanti altri puoi rinunciare?
Allora sei quasi pronto a rispondere di si’ e vivere felice perche’ coerente con te stesso, con buona pace di chi non ti accetta o ti invidia.

Un’ultima cosa prima di rispondere: queste scelte, questi valori sono tuoi o vengono dall’esterno? Devi lottare per assomigliare a chi vuoi essere tu, a cio’ in cui ti riconosci, non a cio’ che ti propongono o insegnano gli altri. Ascolta tutti ma segui la tua coscienza e solo al fine di essere piu’ felice. Perche’ se sei piu’ felice puoi fare di piu’ per chi ti sta attorno.

La ruota gira

Non sono morto. Uhm no, forse non era il modo buono di cominciare questo post dopo i precedenti…
Tutto sommato la ruota sta ricominciando a girare. Molto e’ nuovo, tutto e’ diverso, ma -non da solo e con ampia dose di aiuto terreno degli amici e celeste della mia mamma e immagino di altri- me la sto cavando abbastanza. Continuo a cercare di fare del bene e a scrivere cavolate qua e la.
Mi sono stati fatti dei doni, ora sta a me valorizzarli.

48 giorni

Ho scritto tanto negli anni in questo blog, pero’ manca una storia iniziata 139 giorni fa e durata 48. La racconto come testimonianza di vita, senza voler implicare, accusare o dire nulla piu’ che i fatti. L’ho narrata a tanti amici e parenti. Spero sia l’ultima volta che la devo rivivere e quindi la scrivo tutta e per bene.

E’ la storia -non credevo sarei mai stato qui a dirlo- di come mia madre e’ morta in 48 giorni.

Inizia tutto a fine marzo 2014. La sua pelle e’ diventata gialla. E’ un disturbo spesso legato al malfunzionamento del fegato. In se’ non e’ fatale. In questo caso e’ un sintomo. Oltre che gialla e’ sempre piu’ stanca, magra e irritabile. Pensiamo sia dovuto alle malattie reumatiche di cui soffre. Il giallo pero’ ci mette in allarme, complice anche la reazione sorpresa e sgomenta della mia oculista quando ha visitato sia mia madre sia me il 25 marzo. Anche la ragazza, ormai di famiglia, che viene da noi per le pulizie la vede gialla e insiste perche’ mia madre chiami il medico. Alla fine lo chiamiamo e lui prescrive esami del sangue urgenti. Vado nel suo studio a prendere l’impegnativa e il giorno dopo, sabato 29 marzo, andiamo al centro prelievi. Martedi’ 31 scarico i risultati dal sito web dell’ULSS. Ci sono valori alle stelle e un mucchio di asterischi!

Primo aprile. Viene il medico, vede gli esami e sobbalza. “E’ da ricovero immediato”. Cosi’ si va in Pronto Soccorso all’ospedale di Mestre, quello bello con la vela di vetro. Andiamo col taxi, mia madre e’ troppo affaticata per ogni altra soluzione. Ricordo che prima di chiudere la porta di casa mia madre ha fissato l’ingresso per qualche secondo. Temeva forse di non tornare piu’. In Pronto Soccorso concordano con la diagnosi del medico di base e decidono per il ricovero. Ore e ore e ore in sala d’attesa in… attesa di trovarle un posto a Medicina. Quando in TV sentite “tagli ai posti letto” vuol dire questo. “Ti ho fatto un gran pesce quest’anno!” dice mia madre col suo humor che tanto amo e che nasconde il suo sentirsi in colpa per quel che sta accadendo.

Si inizia con una stanza a quattro letti come ai vecchi tempi, ma almeno e’ grande e c’e’ il bagno. Fuori dai reparti c’e’ il vetusto cartello che vieta l’uso del cellulare, ma lo usano tutti: pazienti, medici e infermieri. Meglio cosi’, e’ uno strumento prezioso per mantenere contatti spesso spezzati d’improvviso. Sara’ anche il caso di schermare le famose “apparecchiature elettromedicali”, invece di vietare strumenti tanto utili, no?!
Dopo un paio di giorni la spostano in una camera a due letti piu’ tranquilla e con un panorama discreto sulla campagna dietro l’ospedale.

Per la prima settimana fanno esami ma non dicono niente. Successivamente, vedendo la cartella clinica e gli esami fatti, capiro’ cosa ipotizzavano quasi fin dall’inizio. A quel tempo si aspetta e ci conducono piano piano verso la verita’. “C’e’ sabbia nelle vie biliari”. Alla fine della settimana le danno un giorno di permesso, dalle 6 di mattina alle 20. Per fortuna ci accompagnano avanti e indietro i preziosissimi e dolcissimi amici della parrocchia che per tutti quei mesi non mi avrebbero mai lasciato solo, visto che raggiungere l’Angelo coi mezzi pubblici e’ una bella avventura.
La giornata a casa scorre tranquilla, lei sta meglio. Scherziamo, ridiamo, viviamo un giorno come tanti precedenti. “Se in pochi giorni va gia’ cosi’ meglio non sara’ nulla di grave, no?”. Purtroppo stavano curando il sintomo, non la malattia. Non e’ un errore, la malattia era sospettata ma ancora da diagnosticare bene. Il sintomo, occlusione delle vie biliari, invece era risultato evidente dalla prima ecografia.

Il giorno dopo primo intervento: un drenaggio permanente per far uscire tutta la bile accumulata, passo necessario per fare gli ulteriori accertamenti diagnostici.
Lo fanno in orario di visita, cosi’ io arrivo li alle tre, faccio un sobbalzo perche’ non la trovo nel letto, mi informo e inizio un’attesa che mi aiuta a capire cos’ha vissuto lei nei lunghi anni dei miei interventi… mi scopro anche piu’ forte di quanto credessi.
Me la riportano e pian piano si riprende. Il drenaggio l’avrebbe accompagnata a lungo, scomodo ma necessario, anche al benessere, e tuttavia ostacolo a ulteriori permessi domenicali.
Arriva finalmente il tempo degli esami e devo dire che fra ecografie, TAC e RNM non si sono risparmiati! Nulla da eccepire sul piano diagnostico. Come detto ci hanno accompagnato delicatamente alla notizia. “E’ un tumore”, “E’ piccolo”, “E’ operabile”, “Persone cui ho fatto cio’ che pensiamo di fare a lei stanno bene da decenni”, “E’ al pancreas”. Avrei imparato che l’ordine in cui dirlo a parenti e amici e’ questo: se si fa precedere la parola “pancreas” manca poco che la gente si faccia il Segno della Croce!

Dunque il tumore c’e’, e’ piccolo, e’ operabile, e’ sulla testa del pancreas ed e’ lui che ha ostruito le vie biliari causando l’accumulo di bile e i conseguenti effetti fra cui quelli che ci hanno allarmato. Senza di essi non l’avremmo scoperto, o l’avremmo scoperto troppo tardi. Solo il 20% dei tumori al pancreas sono operabili. E’ l’antivigilia di Pasqua e pur con paura, ci sentiamo fortunati. Hanno prospettato a mia madre due possibilita’: cicli di chemio+radioterapia o intervento. Sceglie l’intervento per affrontarlo e sradicarlo senza vivere nel terrore. E’ grosso, anche nel nome: duodenocefalopancreasectomia (DCP, per chi non riesce a pronunciarlo).

Ma non e’ tempo di pensarci. Adesso si va a casa con un bel permesso per Pasqua. Si tornera’ in ospedale per l’intervento. La Croce Verde la riporta in ambulanza per semplificarle la vita, visto che deve tenere il drenaggio. Gia’, il drenaggio. Ci dicono che la sacca va cambiata due volte al giorno e periodicamente tutta l’area va pulita. Ci informano che alla pulizia pensera’ l’assistenza domiciliare dell’ULSS mentre per il cambio quotidiano della sacca dobbiamo trovare un infermiere noi.
Bene, inizio la ricerca. Amici mi indirizzano a una nota associazione mestrina. Chiamo, spiego, ripeto i 18 giorni precedenti e cio’ che chiede l’ospedale. No, risponde la segretaria, noi offriamo solo assistenza in regime di ricovero domiciliare ai malati terminali. Tre mesi dopo un amico mi avrebbe detto che non e’ cosi’ e la segretaria si e’ sbagliata. Fattosta’ che devo arrangiarmi, e in fretta. Chiamo un altro amico che conosce tanta gente. Fa un giro di telefonate e alla fine mi trova una societa’ che per il nome pensa essere gestita da un ospedale privato di Mestre. Non e’ cosi’ ma non fa niente. Si presenta un signore che lavorava in ospedale e al suo prezzo viene mattina e sera a fare un’operazione che mi appare complessa.
Passa il sabato, passa la domenica e viviamo una Pasqua serena. Vado a Messa, torno, la ritrovo a casa, stiamo insieme, dormo sul divano mentre lei guarda la TV come tanto mi piace fare. Mi dice “ti ho visto cosi’ rilassato e sereno, finalmente…”. Il Lunedi’ dell’Angelo inizia a calare l’appetito ma non sembra niente di preoccupante, dopo la Pasqua.
Arriva martedi’ e facciamo conoscenza con l’assistenza domiciliare dell’ULSS rappresentata da una gentilissima e davvero premurosa infermiera. Fa la pulizia, tutto bene. Sennonche’ mi chiama e mi informa che i suoi superiori sono irritati perche’ sulla paziente interviene un infermiere privato, operando su materiale (le sacche) fornito dall’ULSS. Dunque o facciamo tutto con i privati o questo non deve piu’ metterci mano. Appreso poi quanto mi fanno pagare per ogni uscita non solo si offre di venire lei, non solo mi spiega che in fondo basta farlo una volta al giorno, ma mi fa anche vedere come cambiare la sacca. E’ talmente semplice e sicuro che ci posso riuscire anch’io e anzi pare sia prassi che i famigliari vengano istruiti in tal senso. E perche’ allora altri mi avevano fatto chiamare assistenza esterna?

In ogni caso non arrivero’ mai a doverla cambiare io. Siamo a giovedi’ 24 e la situazione e’ abbondantemente precipitata. Mia madre, che nelle settimane precedenti aveva si’ mangiato ma era stata sostenuta con le flebo, non riesce a mangiare e a bere. In reparto mi dicono di darle integratori nutrizionali. Inutili. Il medico di base mi dice lo stesso. Due amiche, Lucia ex caposala in oculistica a Mestre e Mariacristina (quest’ultima e’ stata accanto a mia madre per ore, anche agli orari piu’ strani, e non la ringraziero’ mai abbastanza…) mi dicono di farla ricoverare. Giovedi’ notte sta veramente male e chiamo la guardia medica. Disponibile ma non la migliore delle esperienze. Farla venire e’ un’impresa. Fa un’iniezione e mi raccomanda uno sciroppo, che vado a prendere alle 6 di mattina, dopo una notte pressoche’ insonne, nell’unica farmacia di turno in zona, mentre Mariacristina resta accanto a mia madre. Torno, le do’ lo sciroppo (o quel che era). Lo rimette dieci minuti dopo. Non mi resta che chiamare il 118, l’unico modo pare per farla tornare in quel reparto! E’ stata una telefonata dura da fare per me ma necessaria. Arrivano senza sirena come ho chiesto e partiamo, con operatori gentili che mi lasciano salire, sotto l’occhio dei cari vicini preoccupati di non perdere un minuto della vita altrui ma sempre restii a suonare per chiedere in prima persona come va!

Come ho detto gli operatori dell’ambulanza sono stati molto cortesi, sia in casa sia durante il tragitto. L’arrivo al Pronto Soccorso ha portato qualche attimo di angoscia e confusione perche’ il personale capisse chi era e la sua condizione, ma ero agitato anch’io (e stremato dalla mancanza di riposo e dalla tensione dei giorni precedenti), quindi non credo d’essere stato molto d’aiuto. In ogni caso questa volta in poco tempo le trovano un posto e cosi’ torna nel reparto da dove sei giorni prima era stata dimessa. Di nuovo nella stanza da quattro letti, ma in qualche giorno sara’ trasferita nuovamente in una a due, sebbene non quella di prima.

Viene visitata accuratamente. La situazione e’ seria: sospetta trombosi, disidratazione, sofferenza dei reni. “In queste condizioni non la opererebbe nessuno”.
Da ora si parte con tre flebo. Non tre al giorno, tre alla volta per tutto il giorno! Lo scopo e’ far rientrare le nuove problematiche e darle forza per affrontare l’intervento che comunque andra’ fatto. Io vado a casa a riposare qualche ora e nel farlo scopro il giro turistico per Mestre offerto dal 33H…
Torno al pomeriggio e la trovo gia’ meglio, sia fisicamente sia emotivamente. Nei giorni seguenti comunque apprendo che in quei cinque giorni a casa ha avuto una grave insufficienza renale. Chissa’ come sarebbe andata se non l’avessero dimessa in attesa dell’intervento…
I giorni passano e le flebo la rimettono in sesto ma le portano sonnolenza, tanta sonnolenza, al punto che anche quando vado da lei spesso ha sonno o dormicchia. L’immobilita’ forzata, poi, attenta alla sua dignita’ visto che da persona autosufficiente e lucida deve comunque chiamare qualcuno per ogni necessita’. L’assistenza in questo reparto comunque e’ ottima, pronta e celere.

Arrivano i primi di maggio, a circa due settimane dal secondo ricovero. Il reparto in cui eravamo ha fatto tutto cio’ che era possibile. E’ tempo di cambiare reparto e prepararsi all’intervento. I medici sono chiari e parlano prima con lei poi anche con me: “L’intervento e’ impegnativo”, “E’ una paziente ad alto rischio”, “Ci possono essere complicazioni durante l’intervento, subito dopo e nei 15 giorni successivi”. Lei lo vuole fare, a maggior ragione ora: nel nuovo reparto l’assistenza c’e’, e’ valida ma e’ diversa, piu’ volte si sente dire, presente anch’io, di fare le proprie necessita’ e che poi sarebbero andati a pulire. Terribile per una persona lucida e autosufficiente! Ancora una volta gli effetti concreti dei tagli. Confida alla nostra cara amica Lucia, volontaria all’Angelo e che spesso la va a trovare, che lei in quelle condizioni non vuole vivere! Parliamo dell’intervento. Anche di fronte ai rischi lo vuole fare e io la sostengo. “Se va male abbiamo vissuto 42 anni felici”, mi dice e ci commuoviamo. Quel dialogo, bagnato da una lacrima di entrambi, e’ stato curativo e ci ha fatti preparare in serenita’ e armonia. Altri dialoghi li tengo per me e il mio cuore ma ci hanno altrettanto aiutati.
Manca poco, la data e’ fissata. I medici e l’anestesista l’han vista, han parlato con me (con tre interruzioni per telefonate ricevute da chi mi parlava, per la serie i cellulari non si possono usare…). Le danno pure il Triflow (italianizzato in triflo’) per migliorare la respirazione e le dicono, dopo settimane di immobilita’, di fare qualche passeggiata. Per quanto con flebo e sacca del drenaggio e’ un’impresa, facciamo la nostra ultima passeggiata insieme nel corridoio fuori dal reparto. Una giornata di bel tempo ci regala la vista dei Colli Euganei. Pensiamo a Comano, visitata nel 2010, e in cui vogliamo tornare quando tutto questo sara’ passato.

Arriva il 14 maggio, il giorno dell’intervento. La sera prima mi hanno detto che posso andare alle 6 e mezza e stare con lei prima che la portino al gruppo operatorio. Un amico, che dico, un angelo, mi accompagna in auto. A quell’ora l’Angelo e’ un deserto. Le scale mobili sono ferme. Salgo le scale normali, prendo l’ascensore e arrivo in reparto dove sono in corso le pulizie con silenziosissimi aspirapolvere. Mi fanno stare con lei. E’ assonnata ma felice di vedermi e cerca di nascondere la tensione.

Arriva l’ora e io posso accompagnarla giu’, al gruppo operatorio al piano -1. Ci fissiamo, ci teniamo la mano. Entrambi in fondo al cuore temiamo di non rivederci piu’. Ci separano velocemente, i tempi sono stretti. Il suo letto viene fatto svoltare in pre-operatoria, a me viene finalmente detto dove posso attendere dopo che per giorni mi era stato detto tutto e il suo contrario: in reparto, in camera, vicino alle sale operatorie… Invece c’e’ un’area adibita per l’attesa dei parenti, con tanto di ascensore diretto dal primo piano (quello con le palme). Mi viene in mente che ci eravamo finiti per caso quattro anni prima, scendendo per andare in radioterapia (piano -2), quando la battaglia contro i due tumori al seno era stata piu’ facile.

Sono le otto e qualcosa. Resto un po’ poi vado a casa. Mia madre non vuole che rimanga ore li! Passo la giornata con Veronica e Mariacristina, due angeli, e non so come avrei fatto senza di loro!
Poco prima delle tre un chirurgo stanco ma positivo mi dice che loro hanno fatto tutto cio’ che era possibile: il tumore e’ estirpato, ora non resta che attendere. Superato un crollo emotivo per la tensione e nel vederla passare in una barella circondata da macchinari e con tanto di coperta termica, vado in terapia intensiva da lei. Reparto sconvolgente ma personale F-A-N-T-A-S-T-I-C-O che ti mette a tuo agio in ogni modo. Dorme, e’ intubata, la temperatura e’ di 34 gradi (effetto della lunga anestesia), pero’ il volto e’ sereno. Se mi avvicino e le parlo gli strumenti fanno dei bip che altrimenti non fanno. Avverte la mia presenza, lo sento e mi da’ conforto. Poi ho voluto approfondire e capire. Se volete farlo anche voi, questa pagina spiega molto, anche se e’ dedicata alla terapia intensiva post intervento cardiochirurgico, credo che molte cose siano simili.
Non posso attendere che la sveglino: devono prima scaldarla e ci vorranno ore. E’ un dispiacere e un senso di colpa che il giorno dopo lei per prima soffiera’ via. Si’, lei. Tornare li, trovarla sveglia. Viva. Che emozione…
Lo stesso giorno, contrariamente a quanto ipotizzato dall’anestesista, decidono di trasferirla in reparto (in una stanza ancora diversa da quella prima: in tutto ne ha cambiate sei in due reparti!). Momento d’angoscia per lei: serve un’assistenza infermieristica continua che il reparto non offre. E’ spaventata. Mentre la trasferiscono in reparto io chiamo immediatamente la societa’ di assistenza che gia’ avevo contattato pochi giorni prima perche’ mandasse un’infermiera privata ad aiutarla con la pulizia personale del mattino (il guaio di avere un figlio maschio e non femmina…). In pochi minuti ho l’assicurazione che sara’ seguita 24 ore su 24 con tre turni da otto ore di altrettante operatrici sanitarie. Siamo in un ospedale pubblico, questo dovrebbe essere fatto dagli infermieri pagati dalla collettivita’ ma cosi’ non e’, non qui.

In quei giorni molti amici si preoccupano di quanto stiamo spendendo e mi ripetono di cercare persone meno qualificate. Neanche per sogno, per mia madre voglio almeno operatori sanitari diplomati e che parlino bene la nostra lingua a costo di dare fondo ai nostri risparmi di una vita…
E bene ho fatto, perche’ io oggi SO che quando e’ andata in cielo era tranquilla, con affianco una persona che la controllava e che certamente ha dato subito l’allarme, quando…

Quando? Si’, “quando”. Torniamo indietro di 8 ore da “quando”.
E’ domenica 18. Quattro mesi fa esatti.
Soffre, e soffre dal giorno dopo essere stata riportata in reparto da terapia intensiva. Gli antidolorifici non bastano.
Sabato l’hanno fatta alzare e sedere in una speciale poltrona, inoltre le hanno fatto un altro piccolo intervento al polmone in cui si era accumulata una massa che avevano ritenuto sospetta fin dal primo ricovero. Per fortuna si tratta solo di catarro. Dopo quell’intervento, mi dice, le sono aumentati i dolori.
Sta davvero male. Le sento dire diverse volte che “e’ piu’ facile morire che vivere cosi'”. Eppure i medici con cui parlo sono positivi. “Se non ci sono complicazioni va a casa a fine settimana” “vuole votare il 25? Certo facciamo noi tutti i moduli, ma potra’ votare a casa!”. Torno in camera, le riferisco tutto ed essendo finito l’orario di visita la saluto, la bacio (aveva la pelle secchissima… del resto non poteva ne’ bere ne’ mangiare) e mi avvio verso la porta, lasciandola nelle mani della brava infermiera privata di turno al pomeriggio, una signora disponibilissima e sempre pronta ad aiutarla….
Sono sulla porta, lei si toglie la mascherina dell’ossigeno e mi dice con tutta la dolcezza del mondo “Ciao amore…”. Torno da lei, mi accarezza, le do’ un bacio.
Lei lo sapeva, sapeva cosa stava per succedere, ha sempre avuto capacita’ precognitive…
Io vado a casa felice per le parole dei medici e un po’ seccato con chi mi dice che dovrei scegliere un’assistenza meno costosa o che non potro’ gestirla io quando sara’ dimessa. No, basta ospedali. Avremo l’assistenza domiciliare (una volontaria dell’associazione di cui molto piu’ su, incontrata per caso sull’autobus, mi spiega tutto). Sono ottimista.

La chiamata dal medico di guardia del reparto arriva all’1.03 del 19 maggio.
Arresto cardiaco venti minuti prima. E’ morta nel sonno, senza soffrire.
Il giorno dopo mi ha chiamato anche il chirurgo che arrivato in reparto non l’ha piu’ trovata ed e’ rimasto davvero male. Anche lui iniziava a crederci…

E questa e’ la storia di come una persona che faceva ecografia, mammografia ed esami del sangue di controllo ogni anno -gli ultimi a gennaio 2014- se ne va in 48 giorni.
Ci sono tanti “se…” ma sto cercando di non pensarci.
Un consiglio pero’ voglio darlo a chi legge, come due giorni dopo l’ho dato alla nostra amica Claudia venuta da Roma al funerale dopo essere stata a trovarci a febbraio. Se siete sotto controllo dopo un tumore accertatevi che vi facciano controlli ad ampio raggio: tutti i marker tumorali e tutti gli esami del caso.

Notte di San Lorenzo

Negli ultimi dieci o piu’ anni, illudendomi che il mio occhio potesse veder le stelle cadenti, avevo desiderato la salute e la felicita’ per mia madre e per le persone a me care. In effetti per un bel po’ sono stato accontentato, ma nulla puo’ essere eterno.
Oggi mi sono chiesto cosa desiderare.
Ma certo! Sempre salute e felicita’ per le persone a me care, che sono tante e in questi mesi, prima e dopo il 19 maggio, mi hanno sostenuto e aiutato in mille modi. E qui voglio ringraziarle tutte, senza nomi e senza elenchi.

Questa forse e’ stata la settimana piu’ importante e decisiva da mesi!
Tutto l’impegno insieme a fidati amici di qui: documenti da riordinare, moduli da stampare, compilare, spedire… tutto o molto di cio’ si e’ coronato in due eventi che cambiano tutto, adesso e domani.
Poi il terzo evento, il dono del discernimento. Venire a scoprire chi ti e’ amico e chi no, e lasciare chi non lo e’ a se’ stesso prima che possa distruggere i semi del domani.
E il quarto: la lettera che un’amica del tempo lontano scrive dimostrando che qualcosa di buono hai fatto. E il quinto: gesti di solidarieta’ e amicizia che non t’aspetti e la vicinanza di persone dolcissime…
E il sesto di poche ore fa che arriva da lontanissimo e scalda il cuore: “…le hanno regalato una gondola in miniatura…invece di dire grazie ha detto.. le barche del paese di zio gabry!!!”

E poi succede che dolore scaccia pensieri fissi, perche’ il dispiacere (…presto smaltito) per il terzo evento mi ha permesso, come direbbe (e da lassu’ mi ha detto) mia madre “di smettere di pensare sempre alle stesse cose!”, cioe’ alla sua morte. Eh si’, ho sofferto per altro. Era ora no? E adesso, per la prima volta in 4 mesi, non soffro. guardo avanti, ascolto musica (ai vicini dispiacera’!) e sto tornando a cercare cio’ che mi fa star bene: persone, luoghi, incontri, colori… certo, cadro’ ancora, ma il sapere cio’ che si ha davvero, on questa terra e dal vicino cielo, beh… fa volare le ali del cuore!

Prima di concludere il post sono andato a guardare la luna gigante in cielo. Quella, a differenza delle stelle cadenti, la vedo. Ho ringraziato per cio’ che ho, chiesto salute e felicita’ per chi ne ha bisogno… e che un angelo carezzi e dia forza a un bimbo o una bimba che soffre, ad esempio in un paese in guerra o nelle nostre citta’ anonime…
Non e’ la cosa piu’ importante da desiderare?

Dovunque io vivro’, io ti avro’ con me…

Vivro’ con la faccia che tu amavi
coi miei giochi sempre nuovi, col difetto di sognare…

Cosi’ inizia “Vivro'” di Roby Facchinetti e cosi’ io vivro’, nel nome di cio’ che sei stata, di come mi hai insegnato a vivere e ad essere.

Oggi a salutarti c’erano tutti: i tuoi colleghi, i tuoi amici, i miei amici, pure angeli arrivati in modo avventuroso e il cui gesto non dimenticherò, i vicini (anche chi in un lontano passato oso’ insultarti per la scelta di avermi fuori dal matrimonio). C’erano parenti acquisiti e anche i parenti e gli amici che per motivi di salute o distanza non erano fisicamente con noi c’erano col cuore.

E c’era don Armando, che ti voleva cosi’ bene ma cosi’ bene che si e’ commosso mentre ti ricordava. Si’, a te, che dal cattolicesimo bigotto hai ricevuto dolore ma che amavi Gesu’ per i suoi messaggi d’amore e giustizia cui i tuoi ideali assomigliavano tanto.

E c’era don Danilo, oggi cosi’ impegnato in alti incarichi in Curua, li per me e per te, che t’aveva conosciuta in quella tua telefonata di gioia dopo il mio intervento. E c’erano le persone che mi stanno aiutando, e lo sapevi, e a loro l’avevi chiesto e forse sei partita piu’ serena anche per questo.

E c’eri tu, fra noi, finalmente senza piu’ dolori, finalmente accanto al tuo papa’, alla zia anna, alla tua mamma, ai parenti e agli amici che avevi salutato.

E c’ero io che ti ho promesso che vivro’, mi sforzero’ di farlo, per cio’ che sei stata e mi hai dato, perche’ se ho fatto qualcosa di buono lo devo ai valori che mi hai trasmesso tu.

Come ti ho detto tante volte e ripetuto questa mattina prima che chiudessero la bara, grazie di avermi messo al mondo.

Vivro’ senza morire perche’ e’ stupido e indecente
ricomincero’ da niente e lo faro’
ma giuro che vivro’ e lo devo a te e basta…
E diro’ di piu’: dovunque io vivro’, io ti avro’ con me…

PS: e come hai visto ho mantenuto la promessa anche per “What a wonderful world”. Quando credevo di non riuscirci per il troppo sole che rendeva illeggibile il display, qualcosa dentro mi ha dato il coraggio… e anche il momento di quella terra che scendeva e’ stato avvolto di serenita’.

Lettera per la festa della mamma

Domenica scorsa ho scritto, stampato e portato a mia madre questa lettera. Il 14 maggio dovra’ affrontare un intervento impegnativo e se queste parole le hanno dato forza, come credo penso e spero, e’ il regalo migliore di sempre. L’ho accompagnato con questa rosa i cui colori sin da piccolo ho associato a “mamma”. D’accordo con lei, che l’ha voluta far leggere a un nostro caro amico, la pubblico anche nel blog.

Mestre, 11/5/2014
Avevo pensato di regalarti un lettore musicale per farti ascoltare musica, magari il CD di Mina con tale rapper “Mondo Marcio” che è davvero bello, ma ho ricordato che tu e la tecnologia non andate d’accordo e quindi ho optato per qualcosa di più tradizionale e per me inedito: una lettera. La scrivo al PC perché la mia calligrafia è quella che è. Adesso almeno la posso stampare.
E cosa scriverti? Frammenti. Frammenti belli della vita bella che mi hai dato e mi darai, perché io SO che comunque vada il domani, tu sarai con me… e ora scaccio lacrimuccia e scrivo…

…io e te sdraiati su una barca a Bibbione… avrò avuto 3 o 4 anni… c’è il sole caldo, abbiamo gli occhi chiusi, ti sento vicina.
…io e te al mare, stessa età, gioco e nuoto fino a trovare le tue gambe, calde, protettive, le chiami “le colonne d’Ercole” e mi proteggono da dove è più profondo…

…venirti a prendere in ufficio…
…vederti quando uscivo da scuola o da catechismo…
…chiamarti in ufficio, chiedere di te e sentire la tua voce…

…la volta che dovevo leggere in Chiesa al microfono, ero troppo emozionato, la catechista mi offriva di non farlo e tu mi hai incoraggiato…
…il tuo vestito blu acqua pura alla mia Prima Comunione…

…noi sul Passo San Pellegrino…
…noi sui monti, sui torrenti, al mare, al lago di Garda…
…i grandi viaggi sulla 126…

…il viaggio in Canada, che pure ti ho reso difficile come tanti momenti…

…le mie crisi anche per sciocchezze e tu che ci sei, sempre… sacrificando te stessa anche ai miei difetti, paure e limiti…

…quando un giorno ti ho confidato che mi mancava un po’ la nonna e mi hai detto che era l’unica cosa a cui non potevi porre rimedio. Lì ho capito cos’è l’amore materno, che davvero per me avresti fatto ogni cosa umanamente possibile…

…tornare a casa e chiamarti e spaventarmi/seccarmi se non rispondi subito…
…tornare a casa e trovarti…
…io che vengo a vedere come stai, sapendo di trascurarti ma felice di averti li a un passo e sentirmi dire “so che ci sei, che sei qui, e va bene”…
…io sdraiato sul divano e tu che guardi la TV…

…tutte le volte che c’eri prima e dopo le operazioni…
…la volta a 5 anni che ho mangiato una caramella la sera prima di un intervento, mi sono spaventato, ti ho chiamata, non ho avuto coraggio di dirtelo ma la tua voce mi ha tranquillizzato…
…la volta che dovevo decidere se fare l’intervento per curare lo sdoppiamento e tu hai avuto forza per me di dirmi “sì fallo”. Ora la ho io per te: sì fai questo, starai bene, ne vale la pena e meriti di vivere bene!

Quanta forza hai avuto per fare tutto da sola contro i bigotti e gli sciocchi. Quanta forza per affrontare un figlio difficile come sono io. Ti ammiro e voglio dirti ancora una volta…

Grazie mamma per avermi messo al mondo,
   mi hai dato, mi dai e mi darai una vita felice!

Una doppia emozione

Mestre,
Padiglione Rama presso Ospedale dell’Angelo.

Si’, oggi sono entrato in questo posto. E’ la sede della Fondazione Banca degli Occhi ma ospita anche convegni e ambulatori, fra cui quello in cui la dottoressa Franch, primario di oculistica a Venezia, ora riceve i pazienti di Mestre.

La prima emozione e’ per il luogo e la persona a cui e’ dedicato. Questi miei occhi ricevono la luce che da’ forma e colore ai luoghi che vedo grazie al professor Giovanni Rama. Ora di lui c’e’ un nome e un ricordo ma 40 anni fa erano mente e dita che controllavano e impugnavano strumenti. E ora vedere ed entrare in questa “cattedrale della ricerca” a lui dedicata e’ un’emozione, anche se poi il pensiero corre all’ospedale Umberto I dove operava e tante volte mi opero’. Ora li c’e’ solo un cumulo di macerie e tanto degrado, ma non pensiamoci…

La seconda emozione e’ lei, che mi accoglie, mi sorride, mi chiede subito se l’intervista ha avuto successo.
Poi visita sia me sia mia madre usando tutti gli strumenti oculistici piu’ moderni e presentandoli con lo stesso entusiasmo con cui io parlo che so del mio nuovo disco SSD. Pressione a posto (11 a sx, 14 a dx con strumento precisissimo e non influenzato dal nistagmo), occhi a posto, sia i miei (considerando tutte le patologie che hanno) sia quelli di mia madre. E nel frattempo si fa raccontare come va la vita e tanto altro.
Dopo una visita accuratissima ad entrambi e’ tempo di salutarci ma prima mi vuole presentare alla sua assistente “e’ lui quel Favrin!” e a me “sei famoso!”. Le chiedo se mi manda una copia della dettagliatissima foto all’occhio che mi ha fatto e acconsente quindi si fa dare la mia mail.

Infine una cosa che mi fara’ anche apparire vecchio agli occhi della generazione del “tu” ma ogni tempo ha le sue abitudini. Da anni mi ha sempre dato del tu mentre io le davo del lei (l’intervista non fa testo). Mi sono deciso a chiedere se potevo fare altrettanto “lo speravo da tanto”. Ripeto oggi i giovani danno del “tu” a tutti, ma per me e’ una conquista preziosa con una persona che non solo stimo ma praticamente venero. E come dice la sua assistente “e’ facile venerare la dottoressa Franch”. Decisamente.
Grazie per sempre dottoressa Franch!

Un mondo che non c’e’

Eppure vivere non e’
solo un mestiere
e’ violenza da fermare,
e’ innocenza da stupire
senza mai scappare via
dalla realta’.

Vivere vuol dire ho pianto
perche’ stavo troppo bene
e ho piantato un seme
che vivra’
nella siccita’.

Vivere e’ aggiustare
quello che non va…

Ma perche’
non si puo’ diventare migliori
partendo da me…

Grazie Roby, grazie Valerio…
Come sempre succede con le vostre opere, anche questa cade a fagiolo con la mia vita e cerchero’ di farne tesoro in questo momento.

Piccole cose

Oggi e’ il 21 febbraio, l’anniversario di un giorno che mi ha cambiato la vita, un giorno di festa. Ma credo che da oggi in poi ricordero’ il 21 febbraio anche per una lettera che ho ricevuto. Una signora che usa il mio “contagiorni” per ricordare il passare dei giorni da una tragedia che e’ occorsa nella sua vita (resto volutamente vago per rispetto).

Mi ha colpito molto, scrivo sull’onda dell’emozione.

Mi ha colpito perche’ mi riafferma la consapevolezza che tutto cio’ che facciamo, che doniamo, puo’ servire, puo’ rappresentare qualcosa per qualcuno che magari nemmeno conosciamo o conosceremo mai. Qualcosa di noi restera’, che siamo stati grandi grandi o piccoli piccoli, che abbiamo creato astronavi o i livelli di un gioco, se doniamo con amore, qualcosa resta. Scrivi su un blog, su Twitter, su un sito, ma non sai chi ti legge oggi, domani o fra un secolo.

L’ho fatto per Francesca, l’ho fatto per insegnare la sicurezza, l’ho fatto pure per motivi sbagliati o che credevo giusti, a volte. L’ho fatto per raccontare la speranza di un “dopo” o ringraziare per un dono.

Non sono qui a vantarmi, sono qui a commuovermi perche’ capisco che sono riuscito a dare qualcosa a qualcuno. Lo so, me lo dicono, ma certe cose arrivano inattese, magari in periodi piu’ difficili, e toccano il cuore.

Basta poco per chiamare, ma serve coraggio per provare

Mi piacerebbe chiamare una persona di tanti anni fa.
Abita ancora nello stesso posto, mi dice Google.
Un clic e mi ritrovo davanti a quella casa dove sono stato, con foto a 360 gradi.
Il numero e’ li e non c’e’ nemmeno la scusa del telefono e dei costi, che fra cellulari e offerte speciali posso chiamare dove voglio.

Ma cosa potremmo darci e dirci, dopo esserci persi di vista per 17 anni?
E soprattutto, quale lama nel cuore potrebbe affondare se mi dicesse che non lo sente piu’ neppure lei o magari di peggio, con tutte quelle sigarette e quel modo di guidare…
Almeno avesse una mail, sarebbe piu’ facile e meno diretto,
ma sembra che lei sul web non esista…

Da una parte vorrei provare, dall’altra non voglio rischiare.
Forse e’ meglio se resti nel baule dei ricordi, cara amica di ieri…

E’ passato anche gennaio

E’ passato anche gennaio.
E’ stato un mese caratterizzato da una sola cosa bella: un esame di controllo in famiglia andato bene. E’ la cosa piu’ bella e piu’ importante e si’ basterebbe questo a definirlo bello e a superare tutto il resto.

Poi c’e’ stata la mia scelta di lasciare una cosa iniziata con un amico, perche’ il terzo fra noi che credevo amico in tanti anni e’ rimasto uguale, ma io no, e invece di farmi avvelenare oggi preferisco lasciare.

Poi c’e’ stata una persona che, di nuovo, mi ha fatto male. E forse io a lei.

Poi c’e’ stato il mio regalarmi un anno di lynda.com e il bellissimo Construct2, per esplorare mondi diversi. Poi c’e’ stato il solito virus-senza-febbre-che-ti-mette-KO…

In sottofondo pero’ c’era sempre un buco, una sensazione che non ricordavo da parecchio tempo e che regalava flash angoscianti che non capivo ma che ho dovuto e voluto razionalizzare.
E purtroppo so benissimo cos’e’. Non che razionalizzare sani, ma la verita’ e’ che per certe cose un’epoca e’ finita. Magari e’ solo un momento, magari arrivera’ un’altra epoca, magari sbaglio pure ma e’ quello che sento e vedo. Va bene cosi’, in fondo e’ giusto, in fondo e’ tutto normale e forse pure io faccio stare le persone cosi’ a volte, pero’ non essere piu’ cercati e considerati come prima in un rapporto d’amicizia fra i piu’ preziosi fa il suo effetto.
C’e’ chi ai cambiamenti reagisce diventando appiccicoso e chi se ne sta in disparte, cercando di riempire la propria vita di pensieri, parole (non sempre giuste), impegni. Ma quel buco resta e sai che ci vorra’ del tempo per riadattarti alla nuova realta’, sempre tenendo nel cuore le cose preziose che hai avuto e aspettando a cuore aperto il domani.

Non e’ un post contro nessuno, sto parlando a me stesso per rileggermi quando ne avro’ bisogno.

Aborto: una questione mal posta?

La scorsa primavera ho avuto uno scambio di vedute con una rappresentante del Movimento per la vita su Lettera Aperta, il foglio della mia parrocchia. Lei si lamentava dei giovani che usciti dalla Messa non correvano a firmare contro l’aborto. Io ho ritenuto di dire la mia sull’importanza di una corretta educazione sentimentale e sessuale, sul certamente prezioso aiuto da dare alle donne nel momento di una simile scelta ma anche sull’insindacabile diritto delle stesse a decidere se portare avanti una gravidanza o meno.
Di questo dialogo ha parlato anche don Armando a modo suo ;)
Ci sarebbe potuto essere un seguito in un confronto diretto e sereno col presidente del MpV di Venezia ma si arrivo’ all’estate che io vissi fisicamente molto male.

Da allora io ho in cuore un pensiero e lo propongo ora con l’avvicinarsi della “Giornata per la vita”.
Il mio pensiero, che nasce dal commento di don Armando sugli opposti integrismi e i dialoghi non costruttivi, e’ che forse tutta la questione e’ posta in modo sbagliato.

Non ci sono “pro vita” e “pro morte”, ci sono “pro vita” e “pro scelta”, ma non c’e’ nessuna ragione per cui la “scelta” debba avere come conseguenza la fine del nascituro. Oggi si’, ma domani?

Buttiamo via slogan e definizioni su cos’e’ la vita e cosa no e mettiamoci a studiare un modo per prendere l’embrione o il feto dalla donna che non vuole portare avanti una gravidanza e trasferirlo nell’utero di una delle tantissime donne che vogliono disperatamente avere un figlio e per mille motivi non possono!

Possiamo fare trapianti e sappiamo operare un bimbo ancora nella pancia della mamma, davvero non siamo in grado nell’immediato o di qui ai prossimi anni di trasferire un embrione o un feto?

Bello sara’ il giorno in cui il diritto di scelta sara’ riconosciuto naturale e altrettanto lo sara’ il diritto di “trasporto”. Non aborto, trasporto.
Certo, c’e’ chi dovra’ digerire qualcosa che va oltre la “fecondazione eterologa” ma questa soluzione non e’ forse il male minore per quanti ritengono l’aborto un assassinio?

Chiedo agli anti-abortisti: se la scienza ci portasse a questo traguardo, sareste a favore o contrari come lo siete per l’aborto?
E se siete a favore, non lasciate morire questa idea in un blog ma fatela vostra e parlatene. La mera contrapposizione e’ inutile e di fronte a possibili alternative e’ anche assurda!

Io (che andavo per le strade di quartiere)

Io che se mi riversi mille insulti cerco ancora il dialogo e ti perdono anche se mi costa.

Io che quando ci ricadi dico basta e rispondo sforzandomi di non usare arco e frecce velenose.

Io che imparo che un blocco vale piu’ di mille flame.

Io che dieci minuti dopo mi trovo a dimenticare tutto, ritrovare la voce serena e chiamare una persona che ha bisogno di una parola di conforto.

Io che mi sento piu’ vecchio e che oggi apprezzo anche i primi riflessi grigi fra i capelli.

Io che mi piaccio. E omaggio Califano con il titolo ;)

PS: alla fine l’oro nella sfida di NFS Rivals l’ho preso. E anche la serenita’ l’ho ritrovata. Perche’ a volte dire “no” a cio’ che non ci fa bene la fa trovare.

Guidare sul bagnato

Appunto queste riflessioni mentre tento per l’ennesima volta di prendere l’oro in una “risposta rapida” su Need For Speed Rivals.

Piove (nel gioco) e il terreno e’ sdrucciolevole, anzi diciamo che si scivola che e’ una bellezza. Proprio come nella vita in fondo.
Si scivola quando invece di chiamare un amico e parlarsi a voce si usa la rete che, come dice don Gianni, va bene quando i rapporti sono ok, altrimenti peggiora solo le cose.

Si scivola quando si pensa che una persona in quasi 15 anni sia cambiata da cosi’ a coli’, ci si confida, ci si sfoga magari giocosamente, ci si apre in un certo modo e… apriti cielo. Passa un giorno, ne passano due e quella persona di colpo usa tutta l’energia che ha per attaccare, offendere e peggio che mai seminare zizzania fra gente che mai si direbbe certe cose. Oh, per evitare problemi: parlo di persone che non leggono questo blog, nessuno dei lettori abituali si senta tirato in ballo ;)

Ho sbagliato io, di recente, varie volte, ad abbeverarmi in posti dove circolava troppa negativita’ che mi e’ entrata in circolo. Ora ho bisogno di ritrovare chi sono oggi, chi ho scelto di essere oggi. Un aiuto involontario me l’ha un piccolo fatto successo oggi in un negozio al quale ha reagito il Gabriele che sono oggi. Il resto me lo dara’ la funzione “blocca”. Non ero solito usarla ma ha un doppio pregio: tiene lontano da me le occasioni di negativita’ e tiene me lontano dalle suddette visto che se no continuo a pensarci.
Chi mi conosce ritrovi il Gabriele di questi anni. Chi si concede il lusso dell’insulto esca dalla mia vita. Ho faticato a trovare un po’ di serenita’ e un equilibrio precario e non voglio perderlo per chi, magari partendo da un frainteso, arriva a certi punti.

E’ ora che io usi un po’ piu’ di autodisciplina, anche nella scelta delle persone con cui stare e con cui dividere sogni e progetti. Perche’ ho tanti difetti ma nessuno puo’ permettersi di trattarmi in un certo modo.

Si puo’ anche guidare sul bagnato, ma bisogna stare molto attenti.
Ho pensato troppo e non ho preso l’oro. Adesso vado a un “posto di comando” e chiudo: per oggi ho giocato mezzora e mi basta. Le cose van fatte con moderazione :)

Emozioni in colore e suoni!

Io mi nutro di colori, di suoni, da sempre!
I colori mi danno emozioni, i suoni mi regalano colori e, alcuni, anche sapori.
E’ la sinestesia. E’ il mio cervello ove tutto e’ collegato.

Devo solo far cadere i freni, dare un senso a tutto questo e inventare qualcosa che non c’era. Gli strumenti li ho, le capacita’ anche e tutto sommato credo anche la creativita’.

Senza accorgermene il primo passo l’ho fatto oggi quando prima ho “divorato” i colori e i riflessi della citta’ nella pioggia e poi ho “scoperto” che avere una cartella con 267 sfondi e farli apparire in ordine casuale mi regala emozioni profondissime anche nell’uso quotidiano del PC…