21 febbraio 2007:
il primo giorno di primavera
La primavera per me e’ iniziata quel giorno. Chi legge il mio blog regolarmente sa di cosa parlo. Agli altri bastera’ cliccare sulla categoria “Occhi” o sulla pagina dedicata alla dottoressa Franch.
E’ passato un mese da quella settimana di emozioni e da quelle 24 ore che hanno cambiato la mia vita. Ora la vista e’ stabilizzata, la mente serena e sento di voler raccontare quel giorno, anche per fissarlo nella memoria e poterlo ricordare in futuro. Sara’ un racconto soggettivo legato a emozioni che non pretendo di far capire. Spero sia apprezzato. Per me e’ importante scriverlo.
La nebbia, all’alba
Ore sei e un quarto. Suona Firmo. Anche oggi e’ venuto a prendere me e mia madre. Ci accompagnera’ fino a Venezia risparmiandoci l’autobus che a causa della “semina del tram” impiega molto piu’ tempo a raggiungere piazzale Roma. E poi viaggiare nella confortevole auto di un amico e’ piu’ rilassante che farlo in piedi in un autobus carico di gente che va al lavoro. E’ la terza mattina che mi fa questo dono grande. Lunedi’ alle 10 e mezza mi ha accompagnato per l’incontro con la dottoressa, la scelta finale: farla o non farla, questa operazione. Superare le paure mie e quelle indotte da un’accoglienza non del tutto semplice. Martedi’ e’ venuto alle 8: alle 9 dovevo essere in ospedale per la visita dell’anestesista. Oggi arriva addirittura all’alba. E non e’ una persona di trent’anni. Ha una moglie, figli, nipoti e una vita piena. Gli sono grato, gli siamo tanto grati.
Il viaggio dura il giusto. L’aria e’ umida: di notte ha piovuto, le strade sono bagnate. Nebbia, lampioni e buio. Mestre dorme ancora. Io mi guardo attorno, divoro ogni immagine. Non so come mi sento. Sono carico, deciso, rassicurato dalla mia oculista. Emozionato dal confronto con i ricoveri del passato: ingresso il lunedi’. Esami per due o tre giorni, poi l’intervento, poi la convalescenza in ospedale, poi quella a casa. Oggi sara’ tutto diverso: mi sono svegliato nel mio letto. Ora sono nell’auto di un amico, esco, cammino. Fra poche ore saro’ in sala operatoria. Domani a casa.
Stare con Firmo mi fa pensare all’impegno in parrocchia e mi aiuta a portare la mente altrove. Mia madre lo capisce, lo vuole, e ci fa parlare. Della macchina per stampare, di Photoshop, degli strumenti della CS3, di progetti presenti e futuri…
Arriviamo a Piazzale Roma. Li c’e’ piu’ vita: luci al neon, autobus, pullman, gente che arriva. Mia madre esce dall’auto. Io resto un attimo con Firmo e mi raccomando con lui: se qualcosa dovesse andare storto sa che puo’ rivolgersi a Davide per portare avanti il sito. E’ una cosa scaramantica. In passato avevo piu’ paura, ora sono carico, ma desidero comunque sistemare tutte le cose. Nei giorni precedenti l’intervento ho “sistemato” molte altre questioni. Mi ascolta, convinto che non ce ne sara’ certo bisogno ma comprensivo verso la mia necessita’. Ci congediamo con un abbraccio.
Ore sei e 45, vaporetto e nebbia
Una parte di me ha sperato in questi giorni di incontrare Manuel che fa servizio sui vaporetti. Non e’ successo. Sapro’ poi che sta su tutt’altra linea. Un’altra parte di me e’ lieta di non vederlo: l’anima e’ in subbuglio e preferisco il silenzio, stare con me stesso guardarmi attorno, scrivere sms agli amici. Messaggi che fanno piu’ bene a me che a loro. Un’altra delle differenze rispetto alla mia infanzia di ricoveri: all’epoca i legami venivano recisi, adesso il vincolo, il “link” con gli amici resta fortissimo. Ho questo piccolo cellulare con me. Lo terro’ finche’ me lo faranno usare. Mi regala serenita’ poter contattare le persone a cui tengo.
All’ospedale
Siamo arrivati. L’ospedale di Venezia come sempre ci accoglie davanti al pontile. A guardare indietro si intravede la “rassicurante” sagoma dell’isola di San Michele, il cimitero cittadino. Che belle scelte logistiche hanno fatto i nostri avi! :)
Ormai sono carico, ma a mettere i piedi sulla passerella di legno un pensiero saetta nella mente: “torna indietro, prendi il vaporetto e corri a casa”. No. Voglio farla. Andiamo. Non dico una parola, e’ solo un pensiero.
Via spediti attraverso il labirinto di corridoi ormai familiari (e’ il terzo giorno di fila che veniamo qui). Si arriva in reparto. C’e’ tempo per rilassarsi: devo aspettare la visita. Arriva la dottoressa, mi vede, e’ gentile come sempre. Non c’e’ una volta che non si fermi a salutare e oggi e’ ancora piu’ calorosa. Visita col primario che stabilisce che devo fare un’ecografia all’occhio. Io chiedo se ci saranno ritardi per l’intervento. Beata ingenuita’ legata ai tempi passati. L’ecografia si fa sul posto in pochi istanti: una crema sull’occhio, una garza e un “aggeggio” che preme un po’. In un attimo il fondo del mio occhio e’ sul monitor del PC (quell’ospedale e’ PIENO di PC!) pronto per essere studiato e analizzato. E ora si entra in reparto…
C’e’ il bagno in camera!!!
Una delle cose che piu’ ricordo dei miei passati ricoveri sono le grandi stanze da sei letti e i bagni comuni, a volte anche un po’ lontani. Li temevo anche per questo, pur breve, ricovero. Tutt’altro.
Vengo accompagnato in una stanza a due letti che tutto sembra fuorche’ una camera d’ospedale. Anzi e’ identica alle stanze degli hotel. Bagno (con water, bidet, lavabo, carta igienica in abbondanza e luce, molta luce), i suddetti due letti, sedia comoda per familiare, armadi sufficientemente grandi. Non vi dico la mia gioia nel vedere quel bagno, nel pensare che potro’ andarci senza problemi, patemi d’animo o code. “I nuovi standard…” mi dice un’infermiera, sorpresa a sua volta del mio stupore. Le spiego che tanti anni fa era tutto diverso….
Chiedo se con garbo si puo’ usare il cellulare per chiamare casa o scrivere qualche messaggino agli amici. Con garbo si puo’, risponde gentile. Non c’e’ quasi campo, comunque.
Non c’e’ tempo per rimirare la stanza: e’ ora di prepararsi per l’intervento. E’ tutto veloce, piu’ di quanto sperassi. Bene, evito perfino l’attesa che mi chiamino!
I nuovi standard si fanno sentire anche qui: ci si spoglia NUDI, si indossano mutandine fornite dall’ospedale. Non coprono quasi niente e si sciolgono solo a toccarle… per fortuna sopra va un camicione identico a quello dei telefilm. Fatico per allacciarlo dietro e coprire bene cio’ che le mutande non coprono. Tutto inutile: dovro’ toglierlo a breve, mi dicono. Salgo sul letto per partire. Mi buttano addosso una coperta bella pesante. E’ una fortuna, sia per la mia intimita’ ;p sia perche’ se no la situazione sarebbe decisamente fredda. Velocemente percorriamo corridoi. “era molto che non vedevo il mondo in questa prospettiva…” dico scherzosamente all’infermiera e intanto penso a Natascia che invece e’ voluta andare con le sue gambe fino alla sala operatoria. Forse aveva meno strada da fare e poteva scegliere, penso poi. Io no e comunque e’ meglio cosi’ visto l’abbigliamento che indosso…
Ci siamo, si entra nel gruppo operatorio.
Come una bistecca dal macellaio
Nuova procedura che ignoravo: portano il mio lettino vicino a un “coso” di ferro e mi fanno capire che devo passare per di la, sollevandomi ma “stando attento alla testa se no ti fai male”. Sbonk! Inevitabile… ;)
Ecco, avete presente le bistecche in macelleria su quei ripiani d’acciaio? Mi sono sentito cosi’, ma forse il paragone piu’ adatto e’ con un pacco che viene portato all’ufficio postale e deve passare attraverso la porta di accesso e arrivare nelle mani degli operatori dietro ai vetri blindati (almeno da noi e’ cosi’). Tutto questo nel nome della massima igiene.
Sono dentro. Sala pre-operatoria. Accanto a me c’e’ quello che sara’ il mio vicino di letto in camera. Deve fare un trapianto di cornea.
Noto subito l’immancabile PC. Ho gia’ detto quanti ce ne sono in questo ospedale? Si’? OK, andiamo avanti :)
Fra la stanza dove sono e la sala vera e’ propria c’e’ una porta (anch’essa in ferro stile ripiani macelleria). E’ una porta scorrevole con una fotocellula molto sensibile. Si apre e si chiude continuamente e un po’ rumorosamente. Intravedo la OR (sala operatoria)…
L’attesa
Arriva la dottoressa, mi saluta, mi rassicura, dice che opereranno prima il mio vicino in quanto vuole essere certa che faccia effetto l’antibiotico che devo prendere prima di ogni intervento (anche solo dentistico) per evitare problemi che non vi sto a spiegare qui. Pensando che non l’avrei piu’ vista fino all’intervento le dico: “io ho solo quest’occhio, dunque le affido i miei sogni, il mio futuro, la mia vita”. Lei guarda il mio vicino e sorridendo gli dice : “lei ha entrambi gli occhi quindi non mi deve affidare niente ;)”. E’ speciale, l’ho gia’ detto tante volte.
Arriva il primario. Iniziano a lavarsi le mani (procedura lunga e delicata) e parlano. Parlano dei piani per l’ospedale e di tante altre cose. Non ho molto da fare quindi li ascolto.
Ciao, Gianluca!
Suona il telefono della pre-operatoria. Un’infermiera si avvicina: “primario, c’e’ il dottor Monterosso per lei”. Il medico prende il telefono e saluta molto affettuosamente Gianluca Monterosso. Parlano del suo futuro ora che si e’ laureato e si ripromettono di vedersi. Mi ha fatto veramente tanto piacere assistere a questa chiamata e adesso vi spiego perche’.
Gianluca Monterosso e’ il figlio del dottor Roberto Monterosso, un medico molto famoso che era esperto in microchirurgia e che il 19 aprile 1985 mi pratico’ un lungo e delicato intervento di “cerchiaggio retinico” per salvarmi la retina dell’occhio sinistro. Pochi mesi dopo, il 26 dicembre, mori’ in un incidente d’auto causato da un pirata della strada,. Nell’incidente restarono feriti i due figli. Il piccolo, di 5 anni, leggermente, e il piu’ grande, Gianluca che aveva 11 anni, fini’ in coma. Ecco… a me questa vicenda colpi’, sia per la morte di un oculista che per me era stato importante (partecipai anche ai suoi funerali a Carpenedo e furono molto toccanti) sia per il pensiero di quel bimbo, ferito cosi’ gravemente e che al suo risveglio avrebbe scoperto di aver perso il padre. Non ho saputo quasi piu’ niente di lui fino a oggi e ora scoprire che nonostante le sofferenze ce l’ha fatta ed e’ anche diventato medico oculista, come il padre, mi ha dato una grande gioia. Buona vita Gianluca!
Ancora attesa
Iniziano l’intervento del mio vicino. La stanza operatoria si fa buia. Non posso vedere dov’e’ la luce ma sento voci. Parano tranquillamente e lavorano. Non e’ diverso dalla TV, ma niente musica, qui parlano. Penso serva a tenere la mente concentrata e a non lasciare che i pensieri solitari la distraggano.
Intanto arriva da me l’anestesista, gioca alla caccia al tesoro con le mie vene e mi mette un piccolo catatere sul lato superiore del polso. Non fa troppo male e posso muovere la mano. Iniziamo con una flebo. Sono ancora lucido e penso…
Penso e guardo il neon sopra di me. Lo vedo sdoppiato ma so che manca poco…
Per un attimo realizzo: “sto per essere operato” ma la paura passa subito. I timori, i dubbi, i pensieri legati all’idea di affidare la mia vita ad altri non mi toccano e nemmeno il ricordo del lungo articolo sulle anestesie riesce a turbarmi.
Mi sento tranquillo. Sara’ la flebo che inizia a fare effetto? Adesso a distanza di un mese capisco che in quel momento non avevo con me solo i pensieri degli amici e di mia madre ma anche Dio. Lo sento, era lui la fonte della mia serenita’ profonda.
Questo ragazzo tossisce troppo
Tosse. Vengo da una bronchite. L’anestesista che mi ha visitato ieri ha detto che non c’e’ problema. Quella che mi seguira’ durante l’intervento non e’ della stessa idea: “questo ragazzo tossisce troppo”. La ringrazio del “ragazzo”.
Dice che forse sarebbe stato meglio rimandare l’intervento di una settimana vista che l’intubazione non potra’ che peggiorare le cose.
Ma ormai sono li…
Arrivano altre persone che dovranno essere operate dopo di me o che sono gia’ state operate, non capisco (dal letto non avevo una buona visuale). Parlano, hanno freddo. Le capisco ma tutto sommato non posso lamentarmi. Stando fermo sto bene.
Let’s go
E’ il momento. L’intervento del mio vicino e’ finito (mezzora per un trapianto, fantastico!), tocca a me. Il mio letto viene gentilmente spinto dentro la sala operatoria. Avete presente quelle dei telefilm con tutti i monitor? Ecco. “Avete piu’ monitor di me!” dico. Sorridono. Agilmente (…) raggiungo il lettino. Che bello, non e’ duro come lo ricordavo e c’e’ un poggia-braccia a sinistra e uno a destra. Non sto scomodo. Penso che mi faranno contare e invece…
Risveglio
Sento delle voci forti. Rimbombano. Echi di voci lontane. “Ma come? Ho letto che non si sogna durante l’anestesia”. Pensieri che si fanno parole confuse “…ho sognato durante l’anestesia…”. Apro gli occhi. Vista annebbiata da sequenza cinematografica del risveglio. “sei stato operato” qualcuno mi dice.
Ora, forse deludero’ tutti, forse dovrei raccontarvi di gioia e visione perfetta, ma qua succede una di quelle cose che solo in una sala operatoria possono capitare e che sono legate a come il nostro cervello reagisce a certe situazioni, all’abbassamento totale delle difese e delle barriere.
Le mie prime parole, signori e signore, sono state in risposta a uno stimolo molto preciso e quindi ho detto, un po’ allarmato, “ho la cacca!”. Corri corri generale alla ricerca di un telo. In realta’ e’ stata solo una sensazione. Per tutta la giornata avrei poi fatto solo grandi pipi’ (anestesia e flebo da smaltire) riempiendo per quattro o cinque volte un pappagallo, prima che alla sera mi permettessero di alzarmi. Beh, sappiate che in un giorno ho perso 5 kg! :)
Ehm, ehm… torniamo a cose piu’ importanti? ;)
Mi riportano nella pre-operatoria. Guardo subito il neon. Non e’ piu’ sdoppiato. E’ andata. Sensazione inimmaginabile ed emozionante. Serenita’, sicurezza, sollievo dopo tanti anni di sofferenza e settimane di timori circa questo intervento.
Cerchi di non tossire!
Tosse.
Tanta tosse.
Attacco forte di tosse.
L’anestesista mi intima di non tossire perche’ rischio di alzare la pressione dell’occhio. Poi capisce che mi e’ un po’ difficile ottemperare alla sua richiesta, prende “non-so-cosa-ma-vorrei-averlo” e me lo spruzza dritto in gola. Lo sento arrivare fino alle parti piu’ irritate. Sollievo… anche perche’ da allora e per 24 ore non avrei piu’ fatto un SOLO colpo di tosse (e che era? Gas paralizzante?! ;). Segue mascherina d’ossigeno che Nati dice porta la secchezza delle labbra (vero) ma che, ecco, mi ha dato una sensazione assai piacevole ragazzi :)
Passa il tempo, non so esattamente quanto perche’ non sono del tutto lucido. Inizio a esserlo progressivamente. Mi danno un po’ fastidio i due signori al di la’ del separe’ che chiacchierano come fossero in coda alle poste ma capisco che ognuno affronta a proprio modo il pre e il post operatorio e mi concentro sulle loro parole per portare via la mente e far passare il tempo. A un certo punto decidono di riportarmi in stanza. Si ripassa attraverso il passaggio di cui ho accennato prima. Altra sbattuta di zucca e questa volta l’elastico delle mie mutande ospedaliere, ormai quasi dissolte, si muove in un modo da portarmi un dolore fortissimo (amplificato dalla fase post anestetica). Un’infermiera si scusa e aggiunge che ho gambe molto sexy. Non ricordo il suo viso ma la ringrazio tuttora :)))
Il resto e’ un volo. La mia percezione del tempo e’ un po’ distorta, in quattro e quatro-otto sono al piano. Osservo i neon sul soffitto. Non c’e’ piu’ lo sdoppiamento. Dio, che bello!
Sento la voce di mia madre: “e’ sveglio?”. Le rispondo io e le dico che non ho piu’ lo sdoppiamento. Piu’ tardi mi raccontera’ che a quella notizia e’ rimasta un attimo fuori dalla stanza e ha pianto di commozione. Anch’io sono andato vicino piu’ volte al pianto.
Grazie, grazie, grazie per sempre!
Eccomi in stanza. Qui passero’ un pomeriggio a fare pipi’ nel pappagallo, a dormicchiare e a scrivere di nascosto messaggini agli amici. Non subito. Ora devo riposare. Mia madre resta un po’ con me e quando e’ sicura che va tutto bene va a prendere un caffe’ e poi fuori all’aperto a chiamare don Danilo e Natascia per diffondere la bella notizia.
Arriva la dottoressa a vedere me e il mio vicino. Sono passate ore dall’intervento, siamo nel primo pomeriggio inoltrato. Ha lavorato ore e ore eppure prima di andare vuole vederci. Spiega a lui cosa ha fatto per assicurare la riuscita dell’intervento e poi viene da me. Le dico che ha fatto un miracolo, che ha tolto tutto lo sdoppiamento, che la cosa e’ andata meglio di quanto anche lei immaginasse! Si emoziona ed e’ felice. Un medico cosi’ partecipe della gioia dei propri pazienti e’ raro da trovare.
Un brivido di sera
E’ sera. A meta’ pomeriggio mia madre e’ andata a casa. L’ho rassicurata io. Sto bene, non serve che stia tutta la notte e poi possiamo sentirci via cellulare (che miracolo… w chi li ha inventati!). Mi dicono che posso alzarmi per andare in bagno se ne ho bisogno. Apro gli occhi. Paura. Attorno alle luci vedo enormi aloni. Per un attimo temo che d’ora in poi la mia vista notturna sara’ cosi’. “ho guadagnato di giorno ma perso di notte”. Chiamo un’infermiera e spiego la situazione. Mi accompagnano (a braccetto, con delicatezza, il passo e’ incerto e la vista non aiuta) dalla dottoressa di turno. Chiedo se sa cosa ho subito al mattino. Certo, risponde. Sono decisamente ben organizzati. Mi visita. L’occhio sta bene e la pressione e’ perfetta. Mi prescrive un collirio cortisonico e la bendatura notturna. Chiedo se questo problema puo’ pregiudicare la mia dimissione il giorno dopo ma dice di no.
Un’infermiera si premura di spiegarmi come fare la pipi’ nel pappagallo senza vederci (non e’ difficile, devi solo infilare il pis…. li, nel pappagallo, lo senti col tatto). Non e’ giovane e neanche vecchia, era la tipica infermiera di una certa eta’ che ne vede tante e rassicura i pazienti con un po’ di ironia. Per mia fortuna notte tempo la benda si e’ staccata quel tanto da permettermi di andare al bagno guardando con la coda dell’occhio :)
Fame!
La notte passa tranquilla. Qualche parola col mio vicino, persona simpatica e avanti con gli anni, arrivato al terzo trapianto di cornea. Ridiamo sul trasporto “da bistecca”: anche se e’ stato operato pochi anni fa a Vicenza non aveva mai subito quella cosa. Parliamo delle nostre povere schiene: il tavolo operatorio non era duro ma i letti su cui ci troviamo lo sono e siamo a pezzi! Difficile dormire, anche a causa dei morsi della fame. La sera prima non ci hanno dato niente (“lo vomitereste”).
Arriva il mattino. L’alba. Vedo un po’ meglio della sera precedente e la cosa mi rassicura. Il tempo ora e’ lento: la fame e i dolori di schiena si fanno sentire. Scrivo a qualche amico, do’ una dritta al vicino su come avere piu’ campo. Arrivano gli infermieri e mi fanno togliere la benda (quasi completamente staccatasi, comunque). Fra poco la visita ma prima… caffelatte e croissant! I piu’ buoni di sempre! Sara’ stata la fame? Sara’ che non mangiavo da 36 ore? ;)
Visita. Pressione a posto. La dottoressa di turno mi prescrive la cura e mi dice di andare direttamente nello studio della dottoressa Franch per il controllo la settimana successiva. Il tempo di togliere il catere dal polso (e’ stato lasciato da ieri per sicurezza in caso di altre flebo) e potro’ uscire. L’infermiere che deve togliermelo, appreso che mi intendo di PC, mi chiede consiglio su che antivirus usare. Parliamo di quello (mi spiace Symantec, avete un cliente in meno, l’ho fatto passare ad AVG), di siti, di mestre.semplice, della parrocchia… e viene fuori che lui e’ un parrocchiano della chiesa dove stava prima l’attuale vicario di Carpenedo. don Marco. Mi chiede di salutarglielo.
Dimesso
Nel frattempo e’ arrivata mia madre. Ringrazia proprio quell’infermiere, che durante il mio intervento si era premurato di farle avere notizie dalla sala operatoria (l’intervento e’ stato breve ma l’attesa lunga) e andiamo.
Il mondo e’ diverso, e’ bello.
E’ piu’ buio perche’ il cervello deve abituarsi alla luce che etra in modo diverso e a causa dei colliri che scombussolano la vista. Mi ci abituero’ e tutto tornera’ giusto e normale. Mi guardo attorno. E’ tutto meraviglioso.
A Piazzale Roma ci aspetta Mario Carraro (Firmo non e’ potuto venire a causa delle targhe alterne) che ci accompagna fino a casa.
Sentendolo parlare mi nasce l’idea per una nuova cosa da fare in parrocchia.
Si ricomincia a vivere.
E’ il mattino di un nuovo giorno. Vedo poco come sempre ma e’ il “mio” poco, senza piu’ lo sdoppiamento dovuto a quell’iridectomia “troppo ampia” di settembre 1989.
22 febbraio 2007:
il secondo giorno di primavera
Grazie per sempre, dottoressa Franch e grazie a tutte le persone che mi sono state vicine e hanno condiviso le mie emozioni in quei giorni, in quelli precedenti e poi in quelli successivi.