Il web sociale: ma siamo veramente pronti?

Sul web e’ tutto un diffondersi di nuovi servizi “sociali” tesi a far interagire gli utenti fra di loro: wordprocessor, convertitori, quiz, servizi di hosting immagini, file, audio…

A volte vengono usati per fini corretti, piu’ spesso per inserire materiali coperti da copyright: e’ indubbio che il successo dei vari YouTube, Rapidshare e simili non derivi tanto da chi vi immette il filmino delle vacanze o una propria creazione, ma dall’uso per diffondere ben altri tipi di contenuti.

Non e’ pero’ su questo che intendo soffermarmi in questo post, bensi’ su una forma di abuso piu’ sottile ma non per questo meno dannosa per la collettivita’ online: l’abuso dei termini di utilizzo dei servizi.

Innanzi tutto: quando si va in un sito e si usufruisce di un servizio di fatto si accettano i termini di utilizzo dello stesso. Talvolta ci si deve registrare e tale registrazione regolarmente non tiene minimamente conto dell’eta’ dell’utente. E’ legittimo che un minorenne sottoscriva un contratto (perche’ di questo si tratta) con un sito italiano? E con un sito con sede in un altro paese? In USA solo chi ha piu’ di 13 anni puo’ iscriversi a dei servizi online. I ragazzini italiani che si iscrivono ai tanti forum gratuiti basati sul software phpbb (che eredita questo vincolo e lo esporta in paesi dove vi sono leggi differenti) cambiano l’eta’ e si registrano ugualmente. Ed e’ gia’ un primo brutto segno.

Segue poi la questione account: e’ giusto dare a tutti i propri dati? E’ giusto che un minore lo faccia? Nel dubbio molti minori (e altrettanti adulti) si iscrivono con dati fasulli senza pensarci due volte. Qui il problema e’ complesso. In linea teorica sarei d’accordo per i minori, ma resta un abuso (e forse un reato) e sconcerta che venga cosi’ naturale farlo.

Quanti account si possono fare? I siti di mail e blog, per citare le tipologie piu’ usate oggi, sono ricolmi di account multipli creati a ogni cambio di fidanzati, amici, compagnia, ufficio, ecc. Non solo dai ragazzi, intendiamoci, lo fanno anche gli adulti. Un click e un nuovo account e’ fatto. Magari uno all’anno per poter mettere l’eta’ accanto al nome.

Abituati a potersi muovere liberamente, a dare i servizi per scontati, a non preoccuparsi di cosa c’e’ dietro un sito, basta che sia gratuito, gli utenti Internet, o almeno una parte di loro, migrano come orde di locuste da un sito all’altro a seconda della moda del momento. Creano centinaia di migliaia di account, creano blog con un solo post o anche nessuno, aprono quiz con risposte insensate solo per farsi due risate una sera, attivano servizi che abbandonano subito, creano email su email per cambiare contatto, regalano i propri dati privati (in violazione del buon senso e di qualche contratto d’uso) al sito che promette loro di mostrare chi li ha bloccati sul messenger di moda, e via cosi’.

Alt. Fermi.
Penso mi stiano leggendo anche le persone a cui nei giorni scorsi ho fatto questo discorso per il sito dei quiz. Ora probabilmente stanno pensando ancora piu’ intensamente che io sia un rompiballe che dovrebbe “vivere e lasciar vivere”.

Certo, siamo tutti liberi di agire come vogliamo e se anche una o due persone cambiassero il loro modo di usare i siti non cambierebbe il resto del pianeta’, pero’ io non sto scrivendo per due persone. Sto proponendo una riflessione generale su un problema che si fa sempre serio maggiore e’ la diffusione della Rete e di questo web2.0 sociale e interattivo.

Serve una CULTURA dell’uso ETICO di Internet e dei servizi che ci mette a disposizione.

Da anni nelle scuole, in TV, sui giornali, si cerca di sensibilizzare l’opinione pubblica verso un uso razionale delle risorse del pianeta. Usare l’acqua che realmente serve, non inquinare, rinunciare alla macchina o allo scooter quando possibile. Forse che se lo fa un singolo cambia qualcosa? No, per questo si cerca di sensibilizzare il maggior numero di persone possibile.

Io credo che dovremmo cominciare a parlare anche di un uso razionale della Rete e delle risorse a nostra disposizione. Qui ragiono da sviluppatore web, da persona che bene o male sa cosa avviene quando si clicca su “invio” in un modulo…

Il fatto che le aziende (perche’ dietro la maggior parte dei servizi ci sono aziende, bilanci, bollette) oggi accettino determinati comportamenti non implica che li accetteranno sempre, ne’ che siano giusti, ne’ che attuarli non porti conseguenze negative.

Il fatto che si possano registrare 15 account a testa sul servizio di blog X o sul servizio di posta Y (magari perche’ X o Y vogliono poter dire di avere TOT utenti per essere piu’ attraenti per un grosso investitore) non significa che sia un diritto acquisito agire in un certo modo.

Non e’ giusto dal punto di vista tecnico perche’ si caricano i sistemi di dati inutili (moltiplicate il comportamento del singolo per decine di migliaia di utenti) e non lo e’ da quello etico perche’ si contribuisce a far sembrare il servizio X migliore del servizio X2 anche se magari non lo e’. E magari poi si e’ i primi a dire che X va male perche’ e’ lento, e’ sempre in manutenzione, ecc…

Caricare i server poi porta a maggiori spese di banda di trasmissione, spazio disco e risorse per i database. E siccome queste cose costano (poco ma costano) ecco spuntare pubblicita’ piu’ invasive, richieste di iscrizione, limiti all’uso o peggio filtri sugli IP e quant’altro serva a continuare a offrire il servizio facendo quadrare i conti e cercando di guadagnarci.

Attenzione: la soluzione non e’ dire o pensare “bene, ora questo servizio fa schifo quindi aspetto che ne esca uno gratuito e passo a quello senza cambiare il mio comportamento”.

Certo, talvolta un servizio viene lanciato in una forma e appena i gestori fiutano il profumo dei soldi lo riempiono di banner e limitazioni per chi non paga l’accesso “premiun” e in questo caso si’ e’ giusto cercare alternative gratuite, PERO’ il tutto non deve avvenire sulla base della ricerca della propria liberta’ di agire come meglio si crede. E’ importante rispettare chi ci offre qualcosa.

Questo e’ un ragionamento ampio e forse mi sono dilungato. Ci tenevo a parlarne a cerchero’ di affrontare l’argomento anche in altre sedi perche’ credo e temo che stia crescendo una generazione di utenti (e sottolineo che non parlo solo di ragazzi) che da’ per scontato tutto cio’ che trova sul web e non si sente vincolata ne’ a norme di sicurezza personale (sono queste poi le vittime perfette del phishing) ne’ a norme di rispetto verso chi offre loro dei servizi.

Sara’ che vengo da un’epoca telematica ben diversa (preistorica, oserei dire), sara’ che so cosa vuol dire in termini tecnici ed economici offrire un servizio, pero’ mi chiedo davvero se gli utenti sono pronti a gestire con buon senso questo web2.0 o se rischiano di sperperarlo senza rendersene conto e anzi dando per scontate troppe cose che non lo sono, a danno di tutti.

I commenti costruttivi sono apprezzati, ammesso che qualcuno abbia avuto voglia di leggere tutto ;)

Un commento su “Il web sociale: ma siamo veramente pronti?”

  1. Beh da dove potrei cominciare?
    Comincio con il dirti, subito, che sono d’accordo con te .
    Io vengo da un’era telematica che ha visto l’abbandono di vecchi standard, e l’affermarsi di internet sin dalle più semplici strutture.Nei primissimi tempi i servizi su internet avevano tre caratteristiche in comune: 1)scarsi 2)di difficile utilizzo , 3)molti a pagamento.
    Magari può sembrare strano,con l’ottica odierna con la quale si guarda la rete oggi, ma questi servizi erano concentrati in poche mani,e c’era poco spreco.
    Con il passare del tempo, sia il crollo di prezzi dei dischi fissi, sia la diffusione del Web e soprattutto dell’advertising di massa su di esso hanno permesso a società,che avevano una fetta di un tal mercato, di offrire servizi gratuiti alla gente.Questo nel Web 1.5, come io lo chiamo, ovvero quello del 2000/2001, presentava contenuti abbastanza vari, e un’ottima distribuzione delle risorse.Con l’ulteriore caduta dei prezzi,Internet è diventata disponibile a un grandissimo numero di DEFICENTI che prima avrebbero solo sognato di poter mettere mano su un blog, o su una release di Google Earth.La democratizzazione della rete ha portato, secondo me, ad una ristrutturazione in chiave pubblicitaria di essa:sono comparsi gli annunci a tema di Google AdSense , giusto per fare un esempio.Molti siti vivono grazie alla pubblicità:per questo motivo molti siti che forniscono servizi, nati come costole di altre produzioni, sono diventati autosufficienti.Il “prodotto aggiunto” è diventato l’essenza stessa del sito, poichè poteva ripagarsi da se.E tutto ciò è stato clonato da moltissimi, per cui ora abbiamo centinaia di siti che offrono lo stesso servizio (vedi youtube, google video etc), utilizzati da gente che, come fai rilevare tu giustamente, ritiene tutto ciò un dono DOVUTO.Secondo me soluzioni vere e proprie non ce ne sono, bisogna solo attendere che il Web diventi controllato come un canale TV, dove i contenuti sono proposti da pochissimi “broadcaster” e vittime del loro bello e cattivo tempo.Sarebbe una evoluzione orrenda, che niente ora potrebbe presagire, in quanto conflittuale con i dettami del Web 2.0, ma di cui invece ho una ragionevole paura che ciò accada.
    Sisko

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